THE TANGENT - Slow Rust Of The Forgotten Machinery

Inside Out
Andy Tillson e co. tornano con il loro nono album, ed è un grande concentrato di progressive rock di alta classe, e lo fanno con un disco, politico, si, avete capito bene, politico, riflettendo e facendo riflettere chi si appresterà ad ascoltare questa nuova fatica. I nostri lo fanno attraverso un concept album diviso in 6 brani, retti sempre con grande maestria dalla formazione inglese; un disco anche pieno di influenze diverse. L’opener “two rope swings” inizia con delicati interventi di tastiera, chitarre acustiche, una voce calda e avvolgente pregna di profumi prog e un flauto traverso; salvo per poi entrare la batteria e la tastiera e un up tempo punteggiato da interventi di hammond e sentite il basso le evoluzioni che fa sul tessuto armonico creato dalla batteria in relazione col piano. “doctor livingstone (i presume) “ è un attacco prog in piena regola con ampie parti di tastiera, hammond e tocchi lievi di batteria e una chitarra che ricama riff su un basso che fa evoluzioni; qui l’influenza jazz si fa chiara, sentitevi il piano con la batteria sincopata e andrete in sollucchero come il sottoscritto.

Un’influenza che va a innervarsi nel tessuto prog rock che va a indurirsi con chitarre elettriche, per poi riprendere tonalità lievi jazzate, molto notturne. “slow rust” è il brano più lungo,23 minuti,ma pregni di emozione, inizia con tocchi di hammond, la voce di Tillson è carezzevole e si fa anche narrante in alcune parti del brano; brano prog grande, ricco di cori e anima; grande lavoro di tastiere ad opera di Marie Eve De Gaultier; il brano poi prende una piega più “dura” con interventi del chitarrista Luke Machin, e sfumature più elettroniche; un brano mutevole, variegato ma con un filo logico ben presente e costante. “The sad story of Lead and Astatine”,viene introdotta da tocchi di piano e la voce del nostro, brano jazzato che fa morbidamente accarezzare; per poi fare fughe in hammond in controtempo, qui le tastiere ed il basso la fanno da padrone per poi entrare la chitarra con un solo torrenziale duettando con le tastiere. “A few steps down the wrong road” è pregna di pathos con interventi orchestrali, un’epica amara, dove il nostro narra i muri che purtroppo ci circondano; un’analisi che poi fa entrare un sax solista in una cavalcata hard/prog, che profuma di soluzioni floydiane dei tempi d’oro; anche qui la band fa un gran lavoro per tessere il puzzle lirico messo in campo con varie sfumature e con rabbia sottolineata dalla chitarra distorta, per andare verso una piega sinfonica e incredibile, sferzata da parti durissime, eppure tutto questa miscellanea fa presa, merito soprattutto dei nostri che mettono cuore e anima. Un disco pensante, ricco non solo musicalmente come da tradizione dei nostri, ma soprattutto con una riflessione seria che meriterebbe maggior attenzione di tanti e inutili articoli di quotidiano. 

Voto: 8/10 

Matteo ”Thrasher80”Mapelli